
Gianluca Liardo è nato a Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, il 25 maggio del 1985. Cresciuto nell’entroterra siciliano, tra Milena e Niscemi (i paesi d’origine dei genitori), ha poi vissuto e studiato a Palermo dove si è laureato in Lettere Moderne e Filologia Moderna. Nel 2010 si è trasferito al Nord per lavorare come docente di Lettere in diversi istituti del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia Romagna.
SORRISO DI MILENA CHE MUORE
di Gianluca Liardo
ISBN 9788867935918
Pag. 166 - € 15,00
Federico, giovane ricercatore universitario, fa ritorno dopo tanti anni al paese d’origine del padre, immerso nel cuore del vallone, per studiarne le tradizioni popolari, che molto spesso riportano le gesta leggendarie di santi e misteriosi demoni. Il sapore della vita di paese, le particolari atmosfere e i ritmi lenti lo rapiscono fin dai primi giorni. Intanto il grande Ben, un amico d’infanzia considerato nel vallone una sorta di dandy, lo accoglie nella sua cerchia: un gruppetto di giovani talentuosi che giocano, studiano ed escono insieme. Tra questi c’è Gloria, figlia del professore Reina che con i propri spunti assiste Federico nelle ricerche, e accende in lui un sentimento inatteso.
Sullo sfondo si muovono le curiose figure della vita di provincia: dalla suora originaria del Mali al furbo assessore, dall’estroso medico all’orientale, dal parroco all’intrigante Carlotta.
Ma un’ombra aleggia sul paese: la gente del posto fa riferimento al fatto del boschetto, una presunta aggressione di gruppo che ha sconvolto la vita di Milena, una delle ragazze più incantevoli e ribelli del paese. Alla notte di violenza, sulla quale le autorità stanno indagando, hanno preso parte due giovani sbandati del posto, ma anche un misterioso spirito del bosco al quale la gente si limita ad accennare…
«Rallenterai il passo, al termine della salita leggera, perché il condominio si materializzi poco a poco davanti ai tuoi occhi, per afferrare l’attimo esatto in cui rinasce dentro qualcosa di raro, di struggente. Eccola – ti dirai, come se stessi parlando a un bambino, alzando lo sguardo verso la finestra della tua camera, rimasta lì al secondo piano – è qui che abitavo. Ti fermerai a guardare la serranda abbassata e ti conforterai pensando che sia sfitta e che, in ogni caso, nessuno l’avrà più vissuta con la tua stessa intensità quella stanza, questa città. L’intensità dei tuoi vent’anni».